mercoledì 23 febbraio 2011

in fondo, può ancora essere una bella giornata

Oggi è successo che è successa una cosa strana. Una cosa che, in realtà, potrebbe forse essermi capitata anche altre volte, però io di altre volte non mi ricordo. Tant'è.
Ero in cucina e mi preparavo il caffè, un po' dopo pranzo, che di per sé non è una cosa assurda, perché lo faccio sempre. Ho versato il caffè nella tazzina, ho preso il cucchiaino più brutto, quello che non usa mai nessuno, dal cassetto delle posate, e mi sono seduta a tavola. Ho aggiunto un po' di zucchero e ho bevuto il caffè, aspettando giusto un momento per non scottarmi la lingua, che è una cosa che odio perché poi mi brucia per giorni e non sento nemmeno i sapori. Poi ho riappoggiato la tazzina sul tavolo e, istintivamente, ho preso tra le mani il barattolo dello zucchero, che è un cilindro tutto fatto di cartone tranne il tappo; quello è di plastica. Ho cominciato a fissare il barattolo, ma senza concentrarmi, così dopo un poco è diventato tutto sfocato. Lo fissavo sempre, ma come attraverso degli occhiali appannati, per intenderci. In realtà non ci facevo nemmeno caso, ecco. Poi, senza pensarci, ho preso a tamburellare con le dita sul barattolo. La cosa straordinaria è che non stavo pensando  proprio a niente. Almeno a livello cosciente, intendo. Più tamburellavo nel silenzio di casa, più mi sentivo come un dischetto da hockey lanciato sul ghiaccio in un mondo ipotetico privo di gravità.
Ed ecco che poi, di botto, così, mi sono interrotta, perché mi ero accorta che il rumore delle mie dita sul cartone sembrava quello della pioggia su una tettoia. Mi sono morsa l'interno della guancia, in un piccolo sorriso, e ho cominciato a tamburellare lentamente sul barattolo, poi sempre più veloce e più forte, poi con tutte e due le mani, e sembrava di essere sotto la pioggia scrosciante.
Sono rimasta così non so quanto, ma credo almeno cinque minuti. In silenzio e con gli occhi chiusi, a sentire la pioggia, dentro la mia cucina, nel barattolo dello zucchero.

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